Fin dove arrivano i nostri ricordi di bambini? Quanto ci è stato permesso di esprimerci?
“Scarabocchiando” con i colori o con la voce, oppure correndo a scoprire quello che c’era un po’ più in là, dove la nostra curiosità ci portava.
Dipende da tante cose, a partire dal nostro ambiente familiare, per finire in quello scolastico. E di solito più eravamo piccoli, e più i nostri “scarabocchi” venivano ammirati e lodati. Mentre più crescevamo e più venivamo invitati a colorare entro i contorni di forme pre-disegnate, o a cantare più piano (se non muovere solo la bocca!), in un coro dove percepiti come “stonati”, o a fermare la nostra corsa all’esplorazione spaziale. Cosicché la (più o meno) libera espansione infantile veniva progressivamente riducendosi.
Anche noi, ora che siamo adulti, notiamo come più i bambini sono piccoli più non possiamo fare a meno di ammirarli nella loro grandezza: sono miracoli della vita, ci incantano e vediamo in loro possibilità infinite di essere e diventare! I bambini “escono dai contorni” per loro stessa natura, hanno in sé quasi del divino!
Allo stesso modo forse finisce per sembrarci “naturale” trovare limiti e restrizioni nell’ambiente sempre più allargato con cui veniamo a interagire crescendo. Ma non è la Natura a crearli, è la civilizzazione che la nostra comunità umana si è data, al meglio di come poteva, come sempre accade, ma percorrendo una possibilità che non è l’unica.
Rolando Toro, diceva che siamo “malati di civilizzazione”. Una civilizzazione che magari è stata pesantemente condizionata più che dal miracolo della vita e delle sue infinite espressioni, da dimensioni più prosaiche e di potere. La nostra esistenza ha perso uno spessore di sacralità e un valore in sé, per acquisire funzionalità: quelle del fare e del produrre.
Come può questo non interrompere lo sviluppo delle nostre potenzialità espressive, farci perdere la connessione con noi stessi, i nostri impulsi e le nostre aspirazioni individuali, i nostri istinti a manifestare quelle qualità uniche la vita ha seminato in noi perché sbocciassero a beneficio nostro e di tutta la comunità?
Stare nei contorni ci ha pietrificato, ci ha reso dei “morti viventi”, come in modo provocatorio Rolando Toro diceva. Il suo era -ed è con il sistema Biodanza che ci ha lasciato- un incoraggiamento a sciogliere le nostre “armature” muscolari irrigidite nel difenderci da questo mondo prestazionale ed esigente, e a ritrovare noi stessi nello specchio di altri esseri umani, nel senso di appartenenza, e nell’infinita varietà creativa della vita che ci differenzia in modo unico.
Rolando Toro, un uomo animato da un grande amore per la Vita, ha sperimentato e messo a punto con la Biodanza una metodologia in grado di farci riprendere il nostro sviluppo interrotto, e ritrovare la pienezza della nostra esistenza… semplicemente danzandola!
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