“Il potere della danza di avvicinare le persone è così forte che alcuni governi e gruppi religiosi hanno cercato in passato di proibirla. Ma è una strategia inutile. Come specie, siamo nati per ballare. Studi basati sulle immagini del cervello dei neonati mostrano che questi si accorgono se una musica ritmica salta inaspettatamente un battito. A cinque mesi di età, questa capacità si collega anche al movimento. Dalle ricerche emerge che i bambini di quest’età possono muovere il corpo a tempo con la musica, e che più sono in grado di muoversi a ritmo più sorridono. Anche in tenera età muoversi a ritmo sembra farci stare bene.
Secondo gli studi condotti da Morten Kringlebach all’università di Oxford, la sensazione di benessere deriva dal fatto che i nostri cervelli funzionano come macchine predittive, che provano costantemente a indovinare cosa succederà. Secondo Kringlebach un ritmo regolare crea soddisfazione perché facilita la previsione di cosa succederà. Ogni volta che abbiamo ragione, otteniamo una piccola dose di dopamina, un neurotrasmettitore che partecipa alla sensazione di piacere.
Tenere il ritmo con il corpo fornisce una seconda dose di dopamina, e potrebbe anche creare l’illusione che siano proprio i nostri movimenti a dare quel ritmo, dice la psicologa e musicologa Edith Van Dyck dell’università di Gand, cosa che ci fa sentire forti e con la situazione sotto controllo.
Muoversi a ritmo di musica quando siamo soli può renderci lo stesso felici. Farlo in una stanza con altre persone porta la soddisfazione a un livello superiore, perché aggiunge il piacere dei legami sociali. Alcuni esperimenti condotti sui bambini hanno mostrato che ci sono maggiori probabilità che questi aiutino gli adulti, per esempio a raccogliere un oggetto caduto per terra, dopo che hanno saltellato a tempo di musica. Se invece perdono il ritmo, sono meno disposti a collaborare. Qualcosa di simile succede anche agli adulti: muoversi in sincrono con altre persone aumenta la possibilità che ci interessiamo a loro e che condividiamo le nostre esperienze.
Per spiegare la cosa, un’ipotesi è che solitamente basiamo il nostro senso del sé sulla percezione che abbiamo dei movimenti del nostro corpo. Quando ci sincronizziamo con altri, questa propriocezione si fonde con informazioni sui movimenti altrui che arrivano attraverso i nostri altri sensi, il che confonde momentaneamente i confini tra il sé e gli altri. Il risultato è uno stato di vicinanza e comprensione, oltre che un desiderio di aiutare gli altri: cioè quello di cui il mondo avrebbe davvero bisogno oggi.”
[estratto dall’articolo su Internazionale: “I sei esercizi fondamentali della ginnastica mentale“, di Caroline Williams, New Scientist, Regno Unito – 07/06/21]
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